Una mamma in Parlamento

Et voilà un ricordo un po’ scherzoso e pittoresco, relativo ai primi giorni del mio insediamento, che ha a che fare con il “look”. Ero reduce dalla gravidanza da 1 anno e mezzo, tra l’alto in età un po’ avanzata, quindi – vi dico la verità – non riuscivo più a entrare nei miei vestiti. Avevo pochissimi abiti che ancora mi andavano bene, quindi uno dei primi problemi è stato: in Parlamento è richiesto un dress code adeguato, mi devo vestire bene tutti i giorni, problema solo apparentemente banale… Davanti a me avevo solo due opzioni: o rifare completamente il guardaroba, spendendo un sacco di soldi, cosa che avrei voluto evitare (non ho mai amato “sprecare” i soldi), oppure mettermi a dieta, risparmiando denaro e nel contempo guadagnando in estetica. Così feci. Ancora adesso sorrido, pensando che i primi tempi molti dissero: “Beghin ha migliorato molto il suo look”; l’ho anche letto da qualche parte, ma immagino che chi l’ha scritto non sappia la vera ragione: altro che passione per l’estetica!

Tornando ad argomenti più seri, diciamo “logistici”, il fatto, che io passassi così tanti giorni la settimana a Bruxelles, è stato motore di cambiamento per la mia famiglia, seppur non così drastico: già prima, per lavoro, stavo via spesso anche prima, la grande differenza era che prima potevo tornare a dormire a casa e potevo gestire gli impegni insieme al mio compagno, e tra tutti e due garantire una continuità di presenza in famiglia. Quando invece lavori stabilmente a 1500 km di distanza, questo non lo puoi più fare. E il risultato è stato un sovraccarico di lavoro per A., e per le persone che ci danno una mano.

E poi autogestione delle bambine: i figli, d’altronde, crescono e così anche loro si sono presto abituate a quell’indipendenza che per me, alla loro età, è sempre stata fondamentale. Tuttavia per loro non è stata una scelta, ma una condizione “imposta” dalla contingenza. Diciamo che la mia figlia maggiore ne è molto felice. Se le chiedessi: “Vorresti che la tua mamma fosse ricandidata e facesse altri 5 anni?” risponderebbe: “Possibilmente anche 10!”. Le due minori invece non ne sono entusiaste, ma se ne stanno facendo una ragione, comprendendo che lo spirito di servizio verso la comunità dei cittadini può comportare qualche sacrificio per tutti.

C’è una foto esemplificativa, bellissima di E. che quest’anno ha iniziato anche lei a fare pallavolo, in categoria “Kids”, il primo livello di minivolley. Più che altro è psicomotricità, non pallavolo: incominciano a lanciarsi la palla, a prenderla in mano e fermarla. Sono cose utili. E’ anche funzionale alla logistica, perché così tutte e tre le figlie frequentano lo stesso luogo, lo stesso orario. Anche se confesso che vorrei essere li con loro molto più spesso…

Ma capitano le emergenze: se nessuno di noi due le può accompagnare, allora…ho un taxista di riferimento, che conosco da tanti anni, cui mando un whatsapp e dico: “Sono in emergenza, puoi portare tu le bambine al Centogrigio?” Lui arriva sotto casa, citofona, la tata dà la borsa a tutte e due e le manda giù, il tassista allora – per rassicurarmi – fa le fotografie, per attestare la “consegna”, ed è buffissimo perché ho questa foto dove c’è lei con la borsa a tracolla più grossa di lei, G. che la tiene per mano mentre entrambe entrano insieme al Centogrigio. Poi G. la cambia e la veste prima di andare nel suo spogliatoio.

Tutto questo magari mentre io sto discutendo importanti dossier internazionali a Bruxelles: ma c’è sempre il momento in cui le ragazze mi mandano gli audio su Whatsapp, ed io rispondo che “non posso ascoltare il vocale”, e loro insistono: “Basta che te lo metti vicino all’orecchio”, “Sì, ho capito ma un conto è in un secondo, leggere una cosa…”; “No, è troppo lunga non riesco a spiegartela…”. Insomma, nelle pause tra una riunione e l’altra mi sento decine e decine di messaggi vocali: chi ha il problema perché ha la festa di compleanno “con l’amico del parente del cugino” e deve comprare il regalo, chi deve andare in gita da quell’altro, chi tarda perché deve vedere le amiche… E dire che hanno un padre, ma niente: devono necessariamente fare riferimento a me! E così facendo, inconsapevolmente, mi fanno sentire il calore della famiglia anche a distanza…

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