Si può in influire “dal basso” sulle istituzioni europee? L’esempio delle Dogane

Plenary session in Strasbourg – Week 5 2016 – Negotiations for the Trade in Services Agreement

La risposta ovviamente è sì! Esiste un portale “Lex” dove sottoponiamo le proposte normative. Noi non abbiamo delle proposte di legge, non è contemplato nel meccanismo di funzionamento del parlamento Europeo la proposta di leggi da parte dei deputati, però quando c’è un testo di legge che arriva noi lo mettiamo online, a disposizione di chi è interessato a quell’argomento, e che quindi può dare il proprio contributo.

Vi faccio un esempio, un tema cui tengo molto e su cui ho lavorato parecchio in questi anni: quello delle dogane.

Ho presentato un rapporto sulle dogane che è stato un successo, piccolo ma importante. Abbiamo scoperto, parlando con gli operatori, che l’Europa è sì un’unione doganale, con delle regole uguali che valgono per tutti, ma gli iter sono assai differenti, tra Paese e Paese, e anche all’interno delle nazioni stesse! In Italia, sulle merci d’importazione, si eseguono nei porti ispezioni a cura dell’Ufficio Veterinario, Guardia di Finanza, Carabinieri, Agenzia del Demanio, e tanti altri Operatori, ognuno dei quali effettua i dovuti controlli, ognuno con la propria sensibilità e parametri particolari. Già in Italia ci sono delle differenze da porto a porto e – sebbene ultimamente si sia sveltito – il fermo merci medio può andare dai quattro ai sei giorni. Nel resto d’Europa spesso è fatto solo un controllo formale da parte delle autorità portuali, e ad Amsterdam il fermo merce è di 18 ore. Quando arriva una porta container con 10/20 mila container, ognuno contenente un groupage con merce diversa, 18 ore di fermo non bastano neanche per esaminare la documentazione a livello formale. Sicuramente sono più bravi, più attrezzati e meccanizzati nella movimentazione delle merci, ma dal punto di vista della tutela del consumatore?

Tra il porto di Trieste e quello di Capodistria, uno in Italia e l’altro in Slovenia, c’è una distanza di appena 36 km. Prendiamo a esempio le merci che dalla Cina arrivano in pianura veneta, per quelle aziende che utilizzano dei componenti cinesi per assemblare elettrodomestici bianchi. Ebbene, per fare le verifiche di conformità, i materiali devono essere immersi in un reagente chimico che verifica che non rilascino sostanze che potrebbero essere dannose per i consumatori. Il tempo tecnico per osservare se avvenga una reazione chimica è di circa 24 ore. Il nostro sistema non è molto razionale, per cui il laboratorio che fa questo tipo di analisi, invece che essere a Trieste, è a Padova. I controlli sono fatti a campione, non su tutti i carichi, ma al “fortunato” che capita di esser scelto per un controllo, è preso un campione di prodotto, portato Padova, trattenuto 24 ore per le analisi, e poi da Padova torna indietro al porto di Trieste e mediamente passano quattro giorni minimo, se non cinque. Quindi quella merce ha un tempo di sdoganamento medio di otto giorni.

A Capodistria viene effettuata soltanto una lettura dei documenti di trasporto: l’ufficio semplicemente mette un timbro, e va bene così. Si scopre che per sdoganare la stessa merce, a Capodistria, impiegano tre ore, contro gli otto giorni di Trieste.

Mezz’ora di camion in più, 5 giorni in meno di attesa e meno rischi di scovare eventuali irregolarità.

Per alcuni Stati questo è diventato un vantaggio perché se la merce invece che andare a Trieste viene da me, a parte il portare lavoro, c’è anche l’incasso dei dazi doganali.

In Germania, dove hanno dei signori porti, hanno una voce di PIL – lo 0,4% se non erro – fisso, per legge, che deve provenire dai porti. Noi invece abbiamo una statistica opposta, cioè lo Stato fissa dei premi per l’efficienza, basati sul numero d’ispezioni effettuate. Quindi ne sono fatte il più possibile. Risultato: l’Italia è il Paese più virtuoso per quel che riguarda i controlli, bravi come noi a fare i controlli in Italia non c’è nessuno.

Certo che gli operatori onesti – che non hanno niente da nascondere – continuerebbero a venire nei nostri porti ma questi tempi lunghi disincentivano, perché nel trasporto merci il tempo è denaro e quindi se possono, vanno da un’altra parte. Gli operatori non onesti, non vengono sicuramente da noi, perché sanno che rischiano di essere scoperti, quindi vanno a Rotterdam, a Capodistria, in altri porti dove sanno di poter contare su controlli molto meno efficaci. E noi riceviamo un doppio danno, perché il bene non conforme alle nostre norme di sicurezza, che non dovrebbe entrare nell’Unione Europea, accede comunque da un’altra parte e poi arriva in Italia e paga pure le tasse e porta sviluppo e occupazione in un’altra nazione.

Uso un’espressione colorita, per dire che l’Italia, che in questo settore è davvero la prima della classe, ne esce “cornuta e mazziata!”.

Per queste ragioni, ho fatto un giro dei porti, in Europa, verificando questa situazione, e poi siamo andati in Commissione, e sono stata fortunata e brava a “capitalizzare” le relazioni costruite in questi anni di mandato. Con me c’era l’Onorevole spagnolo Fisas, uno che conta nel PPE, ed è persona davvero squisita. Anche lui si era molto interessato a questo dossier, aveva visitato il porto di Valencia insieme con me, insomma, abbiamo lavorato insieme. Ed è stato lui a coinvolgere il suo coordinatore, il tedesco, Caspari.

I tedeschi hanno il puntiglio della legalità: le cose devono essere fatte per bene a qualsiasi costo, e quando lo abbiamo informato di questo problema delle dogane portuali, è andato fuori dai gangheri, ritenendo inammissibili queste disparità a livello europeo, e che andavano assolutamente risolte.

Nella riunione dei Coordinatori si può chiedere di fare un “report d’iniziativa”, come se fosse una proposta legislativa nel nostro Parlamento nazionale, che però deve essere votata da tutti i gruppi politici. E io lì me la sono giocata bene e siamo riusciti a far passare questo report di iniziativa, che è stato affidato a me! Oggi – quindi – esiste un “report Beghin”, che pur non essendo un vero e proprio atto legislativo, informa la Commissione che esiste questo problema. E il Parlamento Europeo l’ha votato a grandissima maggioranza, quindi c’è un documento ufficiale dell’Unione Europea che dice che in Europa oggi ci sono dei controlli difformi da Stato a Stato e che la Commissione deve fare qualcosa a riguardo.

E la commissione si è mossa: ha iniziato anche un’indagine della Corte dei Conti per vedere quali distorsioni esistono dal punto di vista dell’acquisizione dei dazi per merci. Immaginate la dimensione anche in termini di costi ambientali, logistici e fiscali: stiamo parlando di masse enormi di merci, che magari destinate alla Pianura Padana invece di approdare a Genova, sono scaricate e sdoganate a Rotterdam, e poi si fanno tutta la Germania in camion per arrivare a Lombardia. Una follia.

Siamo riusciti a sollevare questo polverone, solo grazie al coinvolgimento della società civile.

In tantissimi mi hanno scritto. Un sacco di operatori del settore mi hanno raccontato aneddoti, mi hanno spiegato che cosa si poteva fare meglio, e questo – a mio parere – è il modo giusto di fare politica.

E ovviamente non è finita, intendo occuparmi di questa vicenda e portarla fino in fondo, sempre con il supporto dei tanti che si sono interessati a questo problema e che sono coinvolti e partecipi.

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